L'errore del bruco
Riporto volentieri l’articolo di una giornalista intelligente, capace
di fare 2+2, e non solo.
Leggendo l'articolo, al compagno Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, sono fischiate le orecchie, ma egli sicuramente non se n'è accorto,
perché è sordo da tempo all’orecchio sinistro.
LE IDEE
L'errore del bruco
di BARBARA SPINELLI
Un
incontro a tre tra Mario Monti, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel
C'È QUALCOSA che zoppica molto, nel giudizio che il Premier dà
dell'Italia, della sua preparazione ad accettare le volontà del governo.
Sostiene Mario Monti che "se il Paese non è pronto" lui se ne va, non
sta aggrappato alla poltrona come i vecchi politici. Ma lo vede, il Paese? E
sullo sfondo vede davvero l'Europa, come promette, o percepisce solo
l'austerità sollecitata in agosto dall'Unione?
In realtà l'Italia sarebbe più che pronta, se solo le si dicesse la direzione
in cui si va, l'Europa diversa che si vuol costruire, la democrazia da
rifondare a casa ma anche fuori: lì dove si sta decidendo, ben poco
democraticamente, la mutazione delle nostre economie, delle nostre tutele
sociali, del lavoro.
È qui che manca prontezza: nei governi, non nei Paesi. Che manca il riformismo
autentico: quello che non cambia le cose con rivoluzioni, ma le cambia pur
sempre. La modifica dell'articolo 18 e altre misure d'austerità hanno senso se
inserite in una mutazione al tempo stesso economica, democratica, geopolitica.
Se non son parte di un New Deal nazionale ed europeo, secernono solo
recessione, regressione, e quei chicchi di furore che secondo Steinbeck
marchiarono la Depressione negli anni '30.
Al Premier vorrei domandare: è per un New Deal che sta a Palazzo Chigi, o per
certificare che la crisi economico-democratica è gestibile da platoniche,
oligarchiche Repubbliche di esperti-filosofi che la sanno più lunga? Una
risposta a simili interrogativi ci preparerebbe un po'. Non basta dire: noi
abbiamo filosofie sui giovani e il futuro che nessuno possiede.
Urge quel che chiedono da tempo i federalisti; quel che il 10 marzo hanno
invocato tanti cittadini e movimenti europei, in un appello (firmato anche da
Jacques Delors) uscito in Italia e Germania: un'Europa politica, un'assemblea
costituente che ne faciliti la metamorfosi. Incuriosisce che l'assemblea
costituente attragga anche oppositori di sinistra (ne ha parlato Sabina
Guzzanti, in Uno Due Tre Stella).
È segno che ovunque c'è oggi sete di un'agorà europea: di uno spazio di
discussione-deliberazione su quel che deve divenire l'Unione, se non vuol
degenerare in matrigna sorvegliante dei conti. È una sete ignota ai partiti, al
governo, ai sindacati. La Cgil ad esempio non ha firmato l'appello federalista,
ritenendolo troppo favorevole al Patto fiscale. Non vede che anche il fiscal
compact è doppio: ha senso se è il gradino di una scala, è stasi in assenza di
scala.
Nella stessa trappola può cadere Bersani, se condivide queste cecità. Senza
un'Europa politica e democratica, che non si limiti a coordinare recessioni
nazionali ma fabbrichi essa stessa crescita, il Pd è in un imbuto micidiale:
come sabbia scivolosa, le sue forze si esauriranno. Per un partito vicino ai
deboli e ai poveri, questi sono tempi bui. Gli mancano le parole, per dire quel
che tocca comunque vivere, con o senza articolo 18: il taglio dei redditi,
l'insicurezza del lavoro.
Per decenni i progressisti hanno parlato di riformismo senza approfondirlo, e
ora la parola tocca ripensarla, non farla coincidere solo con austerità,
ineguaglianza. "Nessun nemico a sinistra", era l'antico motto. Oggi a
sinistra s'affollano partiti, movimenti, e puoi denunciare l'antipolitica ma
gli elettori non se ne curano, delusi come sono. Tuttavia, proprio la trasmissione
di Sabina Guzzanti conferma che c'è, tra i delusi, un residuo di speranza, una
sete che si può dissetare, se si vuole. Una domanda che implora più Europa. Che
nella corruzione di tutti i partiti fiuta la temibile morte della politica.
Il vero problema è che manca terribilmente l'aria, nelle stanze dove si
riscrive il Welfare europeo (non sempre male d'altronde: nel piano Fornero ci
sono molti progressi per i precari). Le stanze sono piccole, strette, e
l'essenziale resta dietro la porta. L'essenziale è l'Europa: l'ossigeno che può
venire da essa, se la trasformiamo in unione politica che governi quel che gli
Stati non governano più. La dottrina tedesca che ingiunge "l'ordine in
casa" prima di tentare forme politiche transnazionali è conficcata nelle
menti: anche in quella di Monti. La crisi mostra l'inconsistenza degli Stati
nazione, e nel nuovo mondo - già sovranazionale economicamente, ma non
politicamente e democraticamente - le sinistre storiche sono in un vicolo
cieco.
Dicono alcuni che la democrazia svanisce, nel presente squasso. Secondo Ernesto
Galli della Loggia, solo lo Stato nazione può essere democratico: fuori di esso
non esisterebbe un demos ma "individui sparpagliati, che semplicemente 'si
conoscono'" (Corriere 12-3). Rotto il contenitore nazionale, la democrazia
apocalitticamente muore. Dimentica, l'autore, che lo Stato nazione (a
differenza degli imperi) ha creato democrazia ma anche nazionalismi, guerre,
annientamenti di tutto ciò che il demos (popolo) riteneva impuro.
Il Partito democratico, ma anche lo strano governo dei Saggi, sembra dar
ragione a questa tesi, per nulla controcorrente. È la tesi dominante invece -
ha la forza dello status quo - ed è anche la più facile, perché inventare un
diverso ordinamento europeo implica ingegno, fantasia, forti trasferimenti di
sovranità, trasgressione di conformismi, e una mente cosmopolitica che le
sinistre storiche professano sempre, osservano di rado.
Le torsioni del Pd, e dei socialisti in Francia, confermano l'infermità di
partiti chiusi nelle case nazionali, che l'Unione la sognano soltanto. Quando
esigono "più Europa" (al vertice parigino tra sinistre francesi,
tedesche, italiane) non osano neppure parlare di governo federale: pudibondi,
prediligono la vacua parola governance.
Solo attraverso un governo europeo eletto e controllato dai deputati europei,
ritroveremo la sovranità che gli Stati hanno delegato non perché rinunciatari,
ma perché non la possiedono più.
Solo in Europa possiamo fare quello che nazionalmente è infattibile: salvare il
Welfare, dotare il potere sovranazionale di risorse per un'altra crescita, più
competitiva e anche parsimoniosa perché fatta in comune. Concentrata su energie
alternative, ricerca, istruzione, trasporti comuni che superino l'automobile
individuale.
Il Pd ha più patemi delle destre, abituate a custodire i fittizi troni
nazionali delegando le sovranità perdute a incontrollate lobby finanziarie
(un'abitudine contratta nei rapporti con la Chiesa). Le sinistre hanno una
visione più laica e ambiziosa della politica, e il loro disinteresse per
l'Europa federale è inane: non ci sarà vero progresso, senza vera democrazia
europea. Nei vertici di maggioranza con Monti di Europa politica non si parla:
come se non fosse la prima emergenza, l'ossigeno che ci evita l'asfissia. Monti
ritiene che "non c'è bisogno" di Stati Uniti d'Europa. I suoi
ministri raccomandano, svogliati, "piccoli passi".
Come ricordano alcuni deputati, in un'interrogazione alla Camera presentata dal
prodiano Sandro Gozzi, non è questa la linea fissata dal Parlamento. La mozione
del 25 gennaio esige che il governo acceleri, in parallelo con Patto fiscale,
un "processo costituente verso un'unione politica dei popoli
europei", metta "al centro della riflessione politica europea le politiche
dello sviluppo e della crescita", proponga il ricorso a eurobond e project
bond come "strumenti innovativi di finanziamento allo sviluppo". Non
s'intravvede prontezza governativa, in materia.
Ulrich Beck ha dato un nome all'indolenza dei politici nazionali. La chiama
l'"errore del bruco". L'umanità-bruco vive la condizione della
crisalide, "ma lamenta la propria scomparsa perché non presagisce la
farfalla che sta per diventare". Non è la prima volta che accade, secondo
lo scrittore Burkhard Müller che per primo ha usato la metafora del bruco
(Süddeutsche Zeitung, 1-8-08). Nell'800 stava per finire la legna: nessuno
presagiva il carbone fossile. Oggi accade lo stesso col petrolio, e anche con
gli Stati nazione. Si aspetta che l'alternativa si materializzi da sola, mentre
bisogna tirarla fuori dal pigro ventre del presente. Decenni di lavoro di
movimenti cittadini hanno consentito ai tedeschi di uscire dal nucleare,
ricorda Habermas. Anni di negoziati hanno prodotto un diritto del lavoro che
non ha spaccato e umiliato i sindacati come da noi.
La sinistra può farcela. Purché lavori alla nascita della farfalla europea, e
smetta le comode certezze di chi, apocalitticamente vivendo da bruco, ritiene
morta le democrazia, una volta perduto il contenitore che fu lo Stato nazione.
28 marzo 2012
http://www.repubblica.it/politica/2012/03/28/news/l_errore_del_bruco-32322979 /
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