PATTI PER IL SUD: VANNO A RILENTO E MANCANO ALL’APPELLO 11 MILIARDI
Girano alcune false opinioni sui soldi dati al Sud, che sono la conseguenza sia del pregiudizio negativo di fondo alimentato anche da troppi sprechi, inefficienze e malversazioni da parte delle Amministrazioni meridionali, sia dall’abilità di agit-prop degli interessi del Nord, segnatamente la Lega Nord, che sono stati capaci di inventarsi, propagandare ed imporre una inesistente questione settentrionale, che ha obliterato quella reale e antica, la questione meridionale. L’ex presidente della Svimez, Nino Novacco, per rappresentare sinteticamente la questione, diceva che la Lega Nord era diventata un’abile interprete del detto napoletano del “chiagne e fotte”.
Provo allora ad analizzare qualche dato.
Il Mezzogiorno è sia un ottimo mercato di sbocco per i prodotti del Nord, sia un serbatoio di risorse umane, anche di buon livello. Per le infrastrutture, invece, è un disastro.
Nel suo libro del 1999 “Lo spreco”, Gian Antonio Stella stimava che: “dall'inizio dell'operatività, nel 1951, sino al 1992 (ultimi dati conosciuti) e sotto il nome sia di Cassa per il Mezzogiorno che AgenSud, ha elargito alle regioni meridionali un totale di 279.763 miliardi di lire”. Vale a dire, in 40 anni, 144,5 mld €, pari a 3,6 mld annui.
Per dare un termine di paragone, secondo la Banca d’Italia, i trasferimenti al Sud sono stati un'aliquota ridotta di quelli di cui ha beneficiato la Germania dell'Est dopo la riunificazione tedesca. “In 40 anni, la politica straordinaria ha speso nel Sud non più dello 0,7 per cento del Pil. Secondo stime non ufficiali i trasferimenti lordi alla Germania orientale sarebbero ammontati per il periodo 1991-2003 (vale a dire in 13 anni, ndr), a 1.250-1500 miliardi di euro, equivalenti a una media di 96-115 miliardi annui”) (pag. 486) http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-seminari-convegni/2009-0002/2_volume_mezzogiorno.pdf.
Quando la situazione economica non l'ha più permesso e la spesa pubblica dal 2001 al 2014 è diminuita al sud del 40%, dal declino si è passati al baratro. Negli stessi 13 anni il Pil reale del sud ha perso 9,4 punti contro gli 1,7 della Grecia.
Questo è avvenuto, oltre che per la crisi, quando al governo (del milanese Berlusconi) c’era la Lega Nord e ministro dell’Economia (“controllato” dalla Lega Nord) era Giulio Tremonti (di Sondrio), il quale, su input della Lega Nord, quando doveva ripartire i soldi per le infrastrutture tramite il CIPE ne destinava il 10% al ricco Sud e il 90% al povero Nord, per risolvere la nota, annosa questione... settentrionale.
Secondo la Banca d'Italia (ibidem), al momento dell'unità d'Italia il Pil pro capite dei meridionali era pari al 90% di quello del Centro-Nord, ora, dopo 155 anni, è pari a poco più del 50%. “Fino alla conclusione del XIX secolo, il PIL pro capite delle regioni meridionali non scese mai al di sotto del 90 per cento di quello centro-settentrionale” (p. 427).
Sia ben chiaro, non sto dicendo che tutta la colpa è del Nord, ma come sempre succede in questi casi affermare che essa va distribuita grosso modo al 50% non significa dire un'eresia.
Ecco alcune misure incisive volte a ridurre i divari Nord-Sud:
a) analogamente a quanto è stato fatto per la Germania Est, destinare al Mezzogiorno un ammontare di risorse straordinarie pari ad almeno 50 mld all’anno per 20 anni, affidandone l’amministrazione (per parare qualunque critica sulla cattiva qualità della classe dirigente meridionale, sulla quale concordo) ad un Comitato formato dai presidenti delle Regioni del Nord;
b) applicare rigorosamente la norma che regola la distribuzione dei fondi per gli investimenti tra Nord, Centro e Sud e ripristinare l’obbligo della riserva (congrua ed effettiva) degli investimenti per il Mezzogiorno; e
c) restituire al Sud l’ammontare complessivo degli investimenti di spettanza del Sud stornati (vedi in particolare durante l’ultimo governo Berlusconi-Bossi-Tremonti, 2008-2011) al Nord.
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Carlo Formenti - 23 novembre 2015
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NUMERI INDICI DELLE DOTAZIONI INFRASTRUTTURALI (n,r,pi)
ISTAT - Le infrastrutture in Italia - Un’analisi provinciale della dotazione e della funzionalità
1.1 - Definizione di infrastruttura A partire dalla fine degli anni ottanta sono stati condotti numerosi studi che analizzano la relazione esistente tra la dotazione di infrastrutture e lo sviluppo economico di un territorio. In tutti è riconosciuta l’esistenza di un forte legame tra infrastrutturazione e crescita economica di un’area. Tra questi lavori, si cita ad esempio quello prodotto da D. A. Aschauer (1989), considerato uno dei più significativi. Egli, nello studio empirico realizzato su una serie storica dal 1949 al 1985 della produzione Usa riscontra, all’interno della funzione di produzione, una elasticità per il fattore capitale pubblico positiva e significativamente elevata, attribuendo così a questo un ruolo determinante per la crescita economica di un paese. Nello stesso ambito teorico, si colloca il lavoro più significativo a livello europeo, quello svolto negli anni ottanta dal gruppo di studio sulle infrastrutture per la Comunità europea coordinato da D. Biehl. L’autore attribuisce alle infrastrutture un ruolo determinante nello sviluppo regionale, misurato in termini di reddito, produttività ed occupazione. «Una regione ben dotata di infrastrutture avrà un vantaggio comparato rispetto ad una meno dotata e questo si tradurrà in un più elevato Pil regionale pro-capite o per persona occupata e/o anche in un più elevato livello di occupazione. Da ciò consegue che la produttività, i redditi e l’occupazione regionale sono funzione crescente della dotazione di infrastrutture.» (Biehl, 1991). Secondo Biehl, inoltre, le infrastrutture sono, tra le determinanti lo sviluppo regionale, quelle che maggiormente possono essere oggetto di diretto intervento dei decisori di politica economica.
Dove vanno i soldi dati al Sud.
Ma questi soldi sono solo una parte degli investimenti complessivi in Italia e, comparati con quelli spesi in 20 anni per la "coesione" della Germania Est, sono drammaticamente insufficienti.
Tra i progetti elencati in opencoesione.gov, c’è anche la linea ferroviaria NA-BA.
Treni, via al cantiere dell'Alta capacità: "Fra 10 anni da Bari a Napoli in 2 ore, Bari-Roma in 3"
Prima e durante la crisi, il Nord ha perso posizioni in Europa più del Sud
[…] Forse ora si è capito che se c’è una parte del Paese che ha perso relativamente e rapidamente posizioni in Europa, essa non è il Sud ma il Nord, proprio quel Nordest e Nordovest che la vulgata colloca tra le aree «...più ricche d’Europa e, quindi, del mondo». La più elementare verifica sul decennio che precede la crisi del 2008 ci dice invece che fatta 100 la media Ue a 27 (un benchmark ben più modesto della granitica Germania!), il Nordovest passa da 140 del 1998 a 127 del 2007, il Nordest da 137 a 125 con una perdita rispettivamente di 13 e 12 punti (-9,3% e -9,6%), il Centro da 124 a 116 (-8 punti pari a -6,5%) e il Sud da 74 a 69 (-5 punti pari a -6,8%). Questo certifica il riposizionamento avvenuto nei dieci anni che vanno dall’ingresso nell’euro alla crisi che si apre a fine 2007; immaginate quale è la posizione oggi, dopo cinque anni nei quali il prodotto interno lordo dell’Italia (Nord e Sud) flette in modo impressionante rispetto agli altri Paesi. Mentre il Nord oggi è regredito ai livelli di Pil del 1997 e il Sud a quelli del 1992, Germania, Francia e Regno Unito hanno ampiamente superato il livello critico del 2008! Dunque c’è un percorso parallelo tra Nord e Sud in questa discesa nel Maelstrom, che precede il 2007 e accelera poi mettendo impietosamente a nudo la fragilità italiana. Se concordiamo con questa qualificazione della crisi è più che legittimo interrogarsi su come se ne esce «insieme» e non «per parti». […]
(Tratto dall’intervento di Adriano Giannola, presidente della SVIMEZ, al Forum su “Sud, Nord e crescita in Italia”. Una discussione delle tesi del nuovo Ministro per la Coesione Territoriale, Carlo Trigilia
Proponiamo qui il forum, pubblicato recentemente nel numero 75 di “Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali” (www.rivistameridiana.it) e organizzato insieme al Dipartimento di Economia e diritto dell’università di Roma “La Sapienza”, a partire dai temi sollevati dal libro del nuovo ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia, Non c’è Nord senza Sud. Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno (Bologna 2012). Al forum, che si è svolto il 26 novembre 2012 e che è stato coordinato dal codirettore della rivista Rocco Sciarrone, hanno partecipato Francesco Benigno, Maurizio Franzini, Adriano Giannola, Alfio Mastropaolo. La discussione si è chiusa con gli interventi del nuovo ministro alla Coesione territoriale e del suo omologo nel precedente governo, Fabrizio Barca.
Dato il sostanziale fallimento delle modalità con le quali si è affrontato finora la questione meridionale, occorre prefigurare soluzioni innovative, che riguardino in primo luogo: a) l'assunzione della Questione meridionale come questione strategica nazionale; b) una rivoluzione culturale; c) investimenti infrastrutturali adeguati; d) una Pubblica Amministrazione efficiente; e soprattutto e) una classe dirigente all'altezza del compito; se occorre, il commissariamento delle Regioni meridionali.
Purtroppo, temo che il PdC Renzi non possieda le qualità per disegnare un progetto organico di crescita dell’Italia facendo leva sullo sviluppo del Sud.
Giannola racconta la sua sfida: «Così lo Svimez ha messo il Sud al centro»
di Pietro Treccagnoli - Mercoledì 5 Agosto 2015
[…] Eppure il premier Matteo Renzi ha bollato il dibattito come il solito piagnisteo.
«Renzi non ha capito che cos’è il Sud e di conseguenza non ha capito che cos’è l’Italia. Deve capire che l’Italia è un grande Paese mediterraneo, il più grande paese europeo proiettato nel Mediterraneo, tutt’intero. Se capirà questo si renderà conto che il Sud è fondamentale, strategico. Lo sviluppo dobbiamo agganciarlo tutt’insieme, dal Trentino alla Sicilia, altrimenti diventeremo un proconsolato tedesco».
Da decenni il meridionalismo e il Sud sono percepiti come argomenti polverosi.
«È così, purtroppo. Servono invece alleanze con il Nord che si illude di poter fare da solo. Occorre una nuova alleanza, come negli anni Cinquanta».
Perché allora fu possibile questa alleanza?
«Perché il meridionalismo era al potere. Ed era un meridionalismo fatto in gran parte non da meridionali, ma da uomini politici e studiosi del Nord, che avevano una visione generale, unitaria, comune dell’Italia tutt’intera. Purtroppo oggi il meridionalismo è inteso come regionalismo. Invece va ricostruito un grande progetto unitario che abbia il Sud come perno, senza stare ad ascoltare le idiozie del governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che ha detto che adesso il Sud batterà cassa, vorrà mille miliardi». […]
NB: Nel titolo dell’articolo c’è un errore: SVIMEZ è un’associazione e quindi si deve dire la SVIMEZ.
Governo Renzi, un governo a trazione centro-settentrionale. Mi chiedo: quanti dei ministri sono "meridionalisti"? Un buon criterio, anche se minimale, è quello di controllare: a) la ripartizione dei fondi in seno al CIPE (a breve ce ne sarà un'altra); e b) se, come succedeva al tempo del governo a trazione leghista Berlusconi-Bossi-Tremonti, vengono stornati fondi del Sud al Centro-Nord.
Italia del nord: 8 ministri: Costa, Delrio, Franceschini, Galletti, Martina, Orlando, Pinotti, Poletti (Wikipedia ne dà 9, forse non ha corretto dopo la sostituzione di Federica Guidi con Calenda).
Italia centrale: il presidente e 7 ministri: Renzi, Boschi, Calenda, Gentiloni, Giannini, Lorenzin, Madia, Padoan (Wikipedia dà PdC e 6 ministri).
Dettagli per regione: 5 ministri provengono dal Lazio (Wikipedia ne dà 4), 3 dall'Emilia-Romagna (Wikipedia ne dà 4), due dalla Toscana più il Presidente, 2 dalla Liguria, 2 dalla Lombardia, uno dalla Sicilia e uno dal Piemonte.
Nota: All’inizio, il governo annoverava un altro ministro del Sud, la calabrese Maria Carmela Lanzetta, poi sostituita dal piemontese Costa.
Segnalo volentieri il dato positivo della crescita del Pil del Sud nel 2015, maggiore di quello del Centro-Nord, ottenuto grazie a maggiore spesa pubblica e fattori favorevoli contingenti.
Pil, Svimez: 2015 «eccezionale» per il Sud, ma 2016 in frenata
[...] Lavoro in crescita grazie ad agricoltura e turismo
Tra i fattori che hanno contribuito alla a crescita del prodotto interno nelle regioni del Sud Svimez ricorda l'annata agraria particolarmente favorevole, la crescita del valore aggiunto nel turismo, «che ha beneficiato anche crollo del turismo nella sponda Sud del Mediterraneo», e la chiusura della programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato ad un'accelerazione della spesa pubblica. Tra gli effetti positivi di questi fattori la forte crescita dell'occupazione nel 2015, in particolare in agricoltura (+5,5%) e nel turismo (+8,6%), con un tasso medio di +1,6% (94mila occupati in più) mentre nelle altre aree la crescita si ferma allo 0,6 per cento. Conferma il traino della ripresa meridionale da parte dei settori agricoltura e turismo. [...]
Segnalo, come preannunciato:
Il comunicato stampa del CIPE del 10 agosto
Il CIPE assegna 15 miliardi di euro del fondo per lo sviluppo e la coesione, 13,4 miliardi di euro per i Patti per il Sud, 9 miliardi per la rete ferroviaria, e approva interventi per le infrastrutture viarie.
Ammontano a circa 40 miliardi di euro gli investimenti deliberati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) nella seduta che si è svolta oggi a Palazzo Chigi presieduta dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Con la riunione odierna il Governo ha dato un impulso ulteriore alla sua azione di programmazione in materia di investimenti pubblici.
In particolare il CIPE, che ha sbloccato opere infrastrutturali attese da tempo, dopo aver preliminarmente approvato l’individuazione delle Aree tematiche nazionali e approvato il riparto generale delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale (FSC) ha disposto l’assegnazione delle risorse per finanziare, a valere sul medesimo fondo, gli interventi contenuti nei “Patti per il Sud” dando il via al Masterplan per il mezzogiorno, il piano del Governo per rilancio economico delle regioni del Sud Italia.
Di seguito le decisioni assunte dal Comitato.
Riparto del Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale (FSC)
Il Comitato ha approvato, in attuazione dell’art. 1, comma 703, lettere a) e b) della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015), l’individuazione delle Aree tematiche e degli obiettivi strategici su cui impiegare la dotazione finanziaria del Fondo Sviluppo e coesione (FSC). La proposta prevede altresì l’adozione delle regole di funzionamento del Fondo.
Le principali aree tematiche del riparto da quasi 39 miliardi di euro sono: Infrastrutture (21,7 miliardi di euro), Ambiente (7,5 miliardi di euro), Sviluppo economico e produttivo (6 miliardi di euro), Turismo, cultura e valorizzazione delle risorse naturali (2,1 miliardi di euro), Occupazione, inclusione sociale e lotta alla povertà, istruzione e formazione (357 milioni di euro).
Di questi circa 39 miliardi, nella riunione di oggi sono stati approvati i 13,4 miliardi per i “Patti per il Sud” e sono stati assegnati i 15 miliardi non ancora destinati, così suddivisi: Infrastrutture (11,4 miliardi), Ambiente (1,9 miliardi), Sviluppo economico e produttivo (1,4 miliardi), Agricoltura (400 milioni).
Il CIPE ha così approvato, nell’ambito del riparto FSC, il piano di investimenti per il rilancio del mezzogiorno di circa 13,4 miliardi di euro per interventi da realizzarsi, insieme alle risorse comunitarie, nelle Regioni e nelle Città metropolitane del Mezzogiorno mediante appositi Accordi interistituzionali denominati “Patti per il Sud”. Le assegnazioni tengono conto degli impieghi già disposti e della chiave di riparto percentuale del Fondo per lo sviluppo e la coesione (80% al mezzogiorno e 20% al centro nord). […]
Isaia Sales,[*] che è stato Sottosegretario al Ministero del Tesoro con delega per il Mezzogiorno durante il primo governo Prodi e consigliere economico del presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, in questo editoriale su Il Mattino, conferma sia la sottrazione dei fondi FAS destinati al Sud da parte del governo Berlusconi-Tremonti-Bossi, sia la necessità di una macroregione del Sud.
Il Mezzogiorno troppo diviso
Mercoledì 17 Agosto 2016, 10:17
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http://vincesko.blogspot.com/2016/07/sud-false-opinioni-alcuni-dati-e.html
Alzi la mano chi non crede che l’INPS abbia un buco di bilancio o che possa fallire o che sono a rischio le pensioni in un futuro più o meno remoto. Lascio da parte quest’ultima eventualità, visto che il futuro lontano è soltanto nella mente di Giove, ma almeno posso rassicurare chi legge sul fatto che il sistema pensionistico italiano, dopo le numerose riforme varate, di cui quella Fornero è soltanto l’ultima in ordine di tempo e, contrariamente alla vulgata generale, neppure la più severa (le vengono attribuite anche le misure sia della riforma Dini, 1995, sia, soprattutto, anche da parte dell’INPS[1] – v. anche la Presentazione del XV Rapporto annuale di Tito Boeri, al minuto 12.20 e al minuto 38.10[2] - della più severa riforma Sacconi, 2010), è considerato dalla Commissione europea tra i più sostenibili nel lungo termine.[1] Mi limito dunque alle prime due. Mi è successo di leggere sui media e nel web affermazioni del genere di quelle indicate sopra quasi ogni volta che si parla di previdenza. Ed essendomi assegnato il compito ingrato – praticamente una fatica di Sisifo – di CONTROINFORMARE sul tema, negli ultimi mesi mi è capitato di discutere spesso sul supposto buco dell’INPS e sul suo paventato, possibile default (fallimento), in particolare in tre occasioni: la prima, nel sito del giornale on-line Gli Stati Generali[3]; la seconda, nel sito neo-liberista NoisefromAmerika;[4] e, la terza, nel sito Goofynomics.[5] Ce n’è una quarta, avvenuta con il titolare del sito The walking debt,[6] ma la ometto perché ripetitiva, anche se è anch’essa un esempio significativo di fatica di Sisifo, poiché segue ad una discussione approfondita sullo stesso tema avvenuta nello stesso sito un anno prima.
Per inciso, segnalo che il presidente dell’INPS, Tito Boeri, nella presentazione dell’ultimo Rapporto annuale dell’INPS,[2] al minuto 40.30, ha dichiarato: “Si danno molte notizie allarmistiche sul bilancio dell’INPS, bene dunque mettere alcuni puntini sulle i. Primo, l’INPS opera per conto dello stato, quello che conta per lavoratori, pensionati e imprese è il bilancio consolidato dello Stato, non il bilancio dell’INPS”.
Riporto i dialoghi nell’ordine indicato, avvertendo che nel primo caso si è trattato di un monologo – diciamo così - per forfait dell’interlocutore, che – ho visto solo dopo – è un docente universitario.
“La cosa sconvolgente è che stavolta l’iceberg non l’ha visto neppure Crozza, che ha assalito Di Maio con gli stessi argomenti di un qualsiasi politico del PD. Invece l’icerberg l’ha visto Carlo Scarpa in un recente pezzo su lavoce.info.[7] Noi qui ci mettiamo tra Crozza e Scarpa e proviamo a rendere ancora più paradossale il caso Nogarin. Come? Trasformando Nogarin in Boeri.
Qual è l’icerberg? E cosa hanno in comune Nogarin e Boeri? Per i lettori impazienti, l’iceberg è il default del sistema pubblico italiano.
Il parallelo con la battaglia di Boeri è evidente: se Boeri portasse in tribunale i libri dell’INPS e poi pagasse solo le pensioni fino a millecinquecento euro, riceverebbe anche lui dal tribunale un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta”.
Tra l’INPS e L’Azienda Autonoma dei Rifiuti di Livorno c’è però una differenza: il primo è un ente pubblico non economico, e non è previsto che possa fallire, un suo eventuale default è gestito direttamente dal Tesoro e non dal giudice fallimentare. La seconda è invece una SpA e quindi quando ne ricorrono le condizioni gli amministratori devono portare i libri in tribunale e se non lo fanno loro dovrebbero farlo i sindaci. Il problema a monte però, è che nel nostro paese gli enti pubblici, che dovevano produrre servizi ai cittadini, sono stati man mano ingabbiati nelle stesse regole (amministrative, gestionali, contrattuali, del personale, ecc.) delle amministrazioni centrali, fino al punto da bloccarne di fatto l’operatività. Allora, per risolvere il problema, invece di semplificare le norme o disegnare un modello nuovo e originale di azienda pubblica, si è preferita la scorciatoia di dare agli enti pubblici la forma della società per azioni. Si tratta però di una forzatura e di una finzione, perché le regole pensate per una SpA non necessariamente funzionano per un’azienda che fa un servizio pubblico, e tra quelle che non possono funzionare ci sono sicuramente quelle relative allo stato di insolvenza (basti pensare all’assurdo di un giudice che dovrebbe decidere la liquidazione di una società costituita con una legge…)
La ringrazio del commento, ma giuristi mi hanno detto e argomentato che l'INPS può fallire. Se ha interpretazioni diverse e fonti la prego di indicarmele perché sto lavorando, sul fronte economico, ovviamente, sulla questione. Grazie.
Non mi ritengo un giurista, ma ho lavorato a lungo in un ente pubblico, anche come direttore amministrativo. Per quanto ne so, la legge fallimentare si applica alle imprese che svolgono attività commerciale (art. 1). L'INPS è un ente pubblico non economico che non svolge attività commerciale, quindi ad esso non si può applicare la legge fallimentare, né le norme relative ai reati connessi. Del resto l'INPS adotta il sistema di contabilità pubblica e non quello civilistico, per cui anche sotto questo profilo sarebbe problematico utilizzare molte delle categorie legate alle norme fallimentari. (ad esempio, manca la nozione di capitale sociale). Per un ente di questo tipo si può quindi parlare di default in senso generico, ma non di fallimento in senso tecnico. Altra cosa, ovviamente, sono i c.d. enti pubblici economici e le società ad azionariato pubblico. Non so che tipo di ragionamenti abbiano fatto i giuristi cui lei si riferisce.
Risulta da studi fatti in materia che ciascuno di noi è “catturato” dalle proprie tesi precostituite, che quasi sempre resistono a qualunque prova contraria. Io lo verifico da 5 anni in tema di a) governo Monti; e b) pensioni e spesa pensionistica. Nel primo caso, quasi TUTTI ignorano che, nella scorsa legislatura, il governo Monti ha varato, in un tempo equivalente, soltanto 1/5 delle manovre correttive rispetto ai 4/5 del governo Berlusconi e sono state molto più eque; ma la recessione viene da TUTTI attribuita a Monti e non a BERLUSCONI; nel secondo caso, che la tanto vituperata riforma Fornero (DL 201/2011) è molto meno severa della riforma SACCONI (DL 78/2010), ma l'allungamento eccessivo dell'età di pensionamento, oltre a tutte le misure di Sacconi, viene ascritta alla Fornero; e che la spesa pensionistica (pari a quasi 280 mld lordi) contiene 45 mld di imposte, che per l’INPS è una partita di giro poiché esso paga il netto, e 45 mld di voci spurie, suddivise più o meno a metà tra TFR (che esiste solo in Italia e può essere riscosso anche decenni prima del pensionamento) e Assistenza, che nulla ha a che vedere con la previdenza e che infatti viene pagata dallo Stato con i trasferimenti (fiscalità generale); per cui al netto di questi 90 mld l’INPS è in “attivo” e “creditore” verso lo Stato. Eppure, ogni volta che mi capita di intavolare una discussione su questi 2 temi, anche con docenti universitari di Economia, che si suppone siano esseri razionali a adusi a maneggiare i numeri, incontro resistenze terribili. Come è in parte il caso anche dell’Autore dell’articolo, che a) ha evitato di replicare al mio commento; e b) continua a preoccuparsi del fallimento (sic!) dell’INPS, per cui escluderei che non l’ha fatto perché “chi tace acconsente”. PS: La voce di Wikipedia dell’INPS è carente dal punto di vista dell’analisi economica della spesa pensionistica, ma, per quel che vale, sotto l’aspetto giuridico afferma questo, che per me è condivisibile: “L'INPS non è un ente con fini di lucro ma è un ente dello Stato predisposto per erogare dei servizi, come lo sono i Comuni, le Provincie o le scuole. Pertanto nel bilancio dell'INPS non vi sono utili o perdite ma avanzi o disavanzi di esercizio, che derivano dalla differenza tra le risorse finanziarie assegnate dallo Stato e i costi per i servizi che deve erogare in base alle leggi vigenti. Se in base alla legislazione vigente, vi è un disavanzo, o viene coperto da ulteriori trasferimenti dello Stato, magari nell'esercizio successivo o c'è il default previdenziale ossia lo Stato fa una riforma previdenziale per ristabilire l'equilibrio dei conti. In caso contrario si andrebbe al default dello Stato, non dell'INPS che è un organo dello Stato che attua le leggi dello Stato e che non ha autonomia negoziale in quanto il diritto della previdenza sociale è una branca del diritto pubblico”. https://it.wikipedia.org/wiki/Istituto_nazionale_della_previdenza_sociale
“l'INPS ha un buco pauroso, facciamo di 100 miliardi di Euro all'anno”.
Mi spiace venire qui a parlare ancora di pensioni, scrivo anche di molte altre cose, ma come sapete mi arrogo il compito arduo e ingrato ma doveroso di CONTROINFORMARE e “bastonare” (passatemi il termine, ormai sapete che ha una funzione essenzialmente "terapeutica") volentieri coloro che fanno – per malafede o ignoranza - il solito catastrofismo infondato sull’INPS e sulla spesa previdenziale.
Le metto insieme poiché ho un solo commento disponibile.
1. Domanda all’autore dell’articolo: la spesa previdenziale riportata nelle tabelle ed assunta a base delle valutazioni critiche è al lordo o al netto delle imposte? (Vedi anche appresso).
2. Vale la pena forse di segnalare al commentatore Alessandro Riolo, che ha scritto: “l'INPS ha un buco pauroso, facciamo di 100 miliardi di Euro all'anno”, che si sbaglia di grosso: la gestione dell'INPS (la gestione è unitaria, le singole gestioni hanno solo una valenza amministrativa), con una spesa complessiva pari a quasi 280 mld lordi, al netto dei 45 mld di imposte e dei 45 mld di voci spurie (suddivisi più o meno a metà tra TFR, che esiste solo in Italia e può essere riscosso anche decenni prima del pensionamento, e Assistenza, che nulla ha a che vedere con la previdenza e che infatti viene pagata dallo Stato con i trasferimenti dalla fiscalità generale) è in notevole attivo (20 mld), per cui al netto di questi 90 mld l’INPS è “creditore” verso lo Stato . Senza voler considerare che l'INPS ha dovuto incorporare gestioni deficitarie, in particolare l'INPDAP, il cui deficit è dovuto alla decisione dello Stato di non versare i contributi a se stesso (http://www.corriere.it/economia/12_ottobre_01/cassa-statali-inps_27b702b4-0b8a-11e2-a626-17c468fbd3dd.shtml) o l’INPDAI dei dirigenti d’azienda, il cui deficit era dovuto ad eccessiva generosità (cfr. pagg. 33-34 dell’allegato di ManagerItalia
“L’avventurosa storia dell’istituto di previdenza dei dirigenti industriali, fino all’ultimo colpo di scena: il passaggio sotto le ali dell’Inps” http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Dicembre2002/pag28.pdf).
Infine, la spesa pensionistica, dopo le ben 8 riforme delle pensioni dal 1992 (di cui quella Fornero, DL 201/2011, è soltanto l'ultima, neppure la più severa e produrrà i suoi effetti soprattutto nel lungo periodo!), è giudicata dalla Commissione europea e dagli esperti (anche finanziari!) tra le meno preoccupanti e più sostenibili nel lungo termine.[*]
[*] Per un'analisi dettagliata delle pensioni, cfr.:
"Lettera ai media, al Governo, al PD e ai sindacati: le pensioni e Carlo Cottarelli"
PS: Strano, ma non tanto conoscendo la struttura mentale dei neo-liberisti, che nessuno della Redazione Suprema (famigerata per la consuetudine di applicare le sanzioni regolamentari alla rovescia) abbia segnalato l’erroneità delle affermazioni, essendosi svolta qui in passato un’ampia, documentata e accesa discussione (cfr.
2. Vale la pena forse di segnalare al commentatore Alessandro Riolo, che ha scritto: “l'INPS ha un buco pauroso, facciamo di 100 miliardi di Euro all'anno”, che si sbaglia di grosso:
Il differenziale di cassa previsto per il 2013 è pari a 110.478 mln (105.649 mln nella terza nota di variazione al bilancio di previsione 2012) ed è rappresentato dalla differenza tra le riscossioni, al netto dei trasferimenti dallo Stato e delle anticipazioni di Tesoreria, per 275.038 mln ed i pagamenti per 385.516 mln. Il suddetto differenziale, insieme ad incremento delle disponibilità liquide per 224 milioni, risulta coperto da:
- 92.428 mln relativi a trasferimenti dello Stato per il finanziamento delle prestazioni assistenziali ex art. 37 legge 88/89(74.928 mln) e per le prestazioni e spese degli invalidi civili (17.500 mln);
- 18.274 mln relativi alle anticipazioni dello Stato per le gestioni previdenziali; (prestiti, NdA).
Ad ogni modo, il discorso fatto in questa discussione verteva sulle poste come classificate dai CPT, che mostrano chiaramente un forte disavanzo tra entrate e spese previdenziali, ben maggiore di 18 miliardi di Euro.
Ad ogni modo, il discorso fatto in questa discussione verteva sulle poste come classificate dai CPT, che mostrano chiaramente un forte disavanzo tra entrate e spese previdenziali, ben maggiore di 18 miliardi di Euro.
A monte l'errore principale è iniziare a parlare di tasse (da "trattenere") e finire a parlare di previdenza, da gestire (localmente?). La discussione poteva essere interessante se si focalizzava sul federalismo fiscale vs il concetto di "trattenere". Che sono due cose ben diverse, come già premesso fin dall'inizio dall'autore. Purtroppo si finisce per commentare le richieste populiste di qualche governatore dandogli pure la sponda di un improbabile "gestione" locale della spesa previdenziale.
Chiedo scusa ma io mi limito all’oggetto del mio commento precedente, essendo per nulla interessato al resto della vostra discussione sull’articolo che ci “ospita”, e non solo perché francamente mi sembra un po’ lunare discutere di una proposta del governatore leghista Zaia del Veneto, Regione a statuto ordinario che è la quinta per popolazione e la terza per Pil, di essere trattato come il Trentino Alto Adige, Regione autonoma di 1 mln di abitanti e 13° per Pil. Catalano potrebbe dare, se fosse ancora vivo, la risposta più appropriata.
1. Con tutto il rispetto, a) non mi pare che Marco Esposito sia una fonte del tutto attendibile e soprattutto imparziale. Poi non si accorge che:
differenziale
"d. Nel linguaggio economico e sindacale, il termine è talora usato impropriam. con il sign. di differenza, divario: ridurre i d.salariali o retributiv (per es., tra gruppi analoghi di dipendenti in diversi settori produttivi); eliminare il d. inflazionistico rispetto ad altri paesi". http://www.treccani.it/vocabolario/differenziale/;
b) ho controllato la data del suo articolo da cui è tratta la citazione: è di un anno antecedente alla discussione “ampia, documentata e accesa” che ho allegato.
c) Il link al Bilancio INPS 2013 ch’egli ha preso a base della sua analisi non è più attivo, perché hanno modificato la metodologia di classificazione delle pensioni INPDAP. Le riforme pensionistiche per loro natura producono i loro effetti nel lungo periodo, così è anche sia per la molto severa riforma SACCONI (DL 78/2010, art. 12, con decorrenza 1.1.2011), sia per quella Fornero (DL 201/2011, art. 24, a valere da 1.1.2012), il 2013 è solo, rispettivamente, il terzo e secondo anno di loro applicazione. Ricavo dal Rapporto annuale INPS- 2013-Sommario (http://www.inps.it/portale/default.aspx?sID=;0;00;6793;6800;49...): “Il flusso finanziario complessivo annuo nel 2013 è risultato pari a 803,5 miliardi di euro (somma tra entrate pari a 396,8 miliardi e uscite pari a 406,7 miliardi), valore che supera la metà del PIL italiano. La gestione finanziaria di competenza evidenzia un saldo negativo di 9,9 miliardi di euro, da ascrivere in larga parte alla gestione dei lavoratori pubblici ex Inpdap. La situazione patrimoniale alla fine dell’esercizio 2013 rileva (dato di preconsuntivo) un patrimonio netto di 7,5 miliardi di euro. Tale valore migliora nettamente se si tiene conto della legge di stabilità 2014, la quale prevede che le anticipazioni di bilancio negli esercizi pregressi al 2012, per il pagamento delle prestazioni ai dipendenti dell’amministrazione pubblica, si intendano effettuate a titolo definitivo. L’effetto di questa disposizione normativa comporta un miglioramento del patrimonio netto dell’Istituto pari a 21,7 miliardi di euro, portando il patrimonio netto all’1.1.2014 a 29,2 miliardi di euro complessivi. Il deficit patrimoniale e lo squilibrio strutturale dell’ex Inpdap non mettono, quindi, a rischio la sostenibilità del sistema pensionistico. Si aggiunga, inoltre, che nei prossimi anni le riforme degli anni scorsi, e soprattutto la riforma RAPPORTO ANNUALE 2013 (SOMMARIO) 5 varata con la Legge n. 214/2011, andranno a regime con conseguenti risparmi significativi e crescenti nel tempo. Il disavanzo dell’Istituto è quindi temporaneo e destinato ad essere riassorbito, mettendo definitivamente in sicurezza i conti della previdenza italiana”.
2. La tua risposta è insoddisfacente, per 2 motivi: a) perché non si dovrebbero dare giudizi roboanti sulla base di una conoscenza insufficiente, “de relato” dei dati, elaborati da una singola fonte; e b) anche perché, soprattutto, rivedendo la discussione linkata, che è dell’anno successivo, ho riscontrato che vi hai partecipato.
3. Al netto di questo, restano in ogni caso le domande fondamentali che, in parte, ho rivolto all’autore dell’articolo: gli importi, da chiunque elaborati, su cui basate i vostri giudizi a) distinguono tra Previdenza e Assistenza? E b) Sono al lordo o al netto delle imposte? Perché, nel primo caso, la voce Assistenza è gestita dall’INPS ma è a carico della fiscalità generale. Nel secondo caso, c’è una differenza sostanziale tra l’esborso “lordo” effettuato da un’azienda, che ovviamente va assunto come costo integralmente, e l’esborso “lordo” dell’INPS, la cui componente fiscale è una mera partita di giro, poiché l’INPS, che è parte integrante dello Stato, eroga gli assegni pensionistici “al netto” e gira la differenza allo Stato, alle Regioni e ai Comuni, pur contabilizzando il “lordo”. L’INPS espone, ad esempio, nel suo Osservatorio sulle pensioni 2014 l’importo “in pagamento”, che presumo sia il netto o non so che, che è molto distante dal totale della spesa pensionistica che va nel calcolo del rapporto col Pil e che è di quasi 280 mld, cfr. anche il mio ultimo commento in calce al 1° dei due articoli linkati nel mio commento precedente:
[L’importo complessivo annuo risulta pari a 192,6 miliardi di euro, di cui 173 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. Il 66% dell’importo è erogato dalle gestioni lavoratori dipendenti, il 23,8% da quelle dei lavoratori autonomi, il 10,1% da quelle assistenziali.]
Peraltro, ho letto recentemente (ma ora non ricordo dove) che anche la Ragioneria dello Stato redige le sue analisi considerando il costo della spesa pensionistica al netto delle imposte.
In definitiva, quindi, e l’INPS e la spesa pensionistica in senso stretto stanno molto meglio di quanto voi disinformati e/o in malafede e/o catastrofisti vi dilettate a raccontare, anche dopo che conoscete le prove documentali contrarie. O è tigna o sono problemi con il principio di realtà.
Però, mi sembra documentatissimo. Sarà la specializzazione nel controllo di gestione. E la disponibilità di tempo ...
Riuscirebbe a trovarlo anche per chiarire il mio quesito, posto un poco più sopra?
2. La tua risposta è insoddisfacente, per 2 motivi: a) perché non si dovrebbero dare giudizi roboanti sulla base di una conoscenza insufficiente, “de relato” dei dati, elaborati da una singola fonte; e b) anche perché, soprattutto, rivedendo la discussione linkata, che è dell’anno successivo, ho riscontrato che vi hai partecipato.
Leggo da molti anni a questa parte tutti i rapporti annuali, dove risulta chiaramente che negli ultimi anni il buco dell'INPS ha raggiunto poco meno di 100 miliardi di Euro annui, rattoppato con trasferimenti statali. Il brano citato da Marco Esposito, suggerisce che si tratti per la gran parte di spesa assistenziale, ma c'è anche una consistente quota previdenziale.
Leggo anche i rendiconti generali e la relazione della corte dei conti, ma generalmente mi concentro sul FSTA.
Al netto di questo, restano in ogni caso le domande fondamentali che, in parte, ho rivolto all’autore dell’articolo: gli importi, da chiunque elaborati, su cui basate i vostri giudizi a) distinguono tra Previdenza e Assistenza?
Ad ogni modo, nel contesto delle risposte ai temi dell'articolo, e tenendo ben presente l'obiezione di Francesco Forti, e cioè che bisogna tenere a mente che "gestire localmente entrate e spese significa avere il controllo delle legislazione in merito alle entrate ed alle spese di competenza", obiezione la cui logica conseguenza è a mio parere che il federalismo all'italiana in tutte le sue salse sia e sia sempre stato generalmente una presa in giro, quello che personalmente mi interessava far notare all'autore, e mi par di capire che potrei esserci riuscito, è che se prendiamo per buoni i CPT, quale che sia la causa del buco previdenziale, questo è osservabile nei conti pubblici, ed ha come effetto da un lato di amplificare la misura del residuo fiscale di alcune regioni, cioé quanto complessivamente i contribuenti di questi regioni sono chiamati a contribuire al riequilibrio dei conti dello stato, ma dall'altro lato, magari controintuitivamente, attenua sensibilmente il residuo fiscale negativo di quasi tutti le regioni meno sviluppate del paese. Regioni tra le meno economicamente sviluppate del paese come la Puglia o la Campania secondo i CPT non solo si pagano tutte le proprie spese pubbliche da sole, comprese le quote a loro allocate delle spese di difesa o di rappresentanza all'estero, ma contribuiscono anche a coprire parte del disavanzo contributivo. E addirittura la stessa Sicilia è a poca distanza dal riuscire a fare altrettanto. La necessaria conseguenza, sempre se i CPT sono affidabili, è che in Italia da alcuni anni non esiste una vera perequazione non previdenziale. Se i Campani, i Pugliesi od i Siciliani necessitano di una infrastruttura, o un qualsiasi investimento in conto capitale, se lo pagano da soli, né più né meno di Veneti, Toscani o Lombardi.
Derivando per un attimo nuovamente sui conti INPS, sai se le previsioni sono fatte usando lo scenario centrale di previsione per la popolazione dell'ISTAT? Se così fosse, come si tiene conto che quello scenario prevede un saldo migratorio netto di 16 milioni e mezzo di immigrati dal 2014 al 2040? E se non arrivassero?
1. Vedo che tieni in non cale le mie obiezioni, fondate sui documenti ufficiali, e continui a basarti fideisticamente (è un vizio di voi neo-liberisti) su ciò che scrisse 2 anni fa Marco Esposito, ma comunque ci sei arrivato anche tu che la cifra di 100 mld, ammesso e non concesso che sia esatta, è fatta in gran parte di Assistenza.
2. Per il resto, la risposta alla tua reiterata preoccupazione sul supposto buco dell’INPS è nella tua omissione (intenzionale?) della mia seconda domanda: “b) gli importi sono al lordo o al netto delle imposte?” Se fai, allora, un altro piccolo sforzo, vincendo la tua “resistenza”, puoi arrivare a capire anche tu che, applicando una rettifica in meno dei costi pari all’ammontare complessivo della componente fiscale (45 mld), che è una partita di giro per l’INPS e i conti pubblici, si ottiene un saldo positivo di una ventina di mld, che è l’avanzo dell’INPS di 20 mld che ho indicato più sopra.
3. Il 70-80% (!) residuo della tua replica non è pertinente con la mia risposta, potevi farne a meno, ma evidentemente – intenzionalmente o inconsciamente – hai sentito il bisogno di fare fumo e rifugiarti in territorio “amico”.
PS: Le previsioni a lungo termine sono esercitazioni accademiche e altamente aleatorie, segui il suggerimento implicito del neo-classico Michele Boldrin: evita di farne o di chiederne.
[1] Lettera ai media, al Governo, al PD e ai sindacati: le pensioni e Carlo Cottarelli
INPS Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - Presentazione del XV Rapporto annuale
[3] IL CASO NOGARIN È IL PROBLEMA DI BOERI: MANCANO REGOLE PER UN DEFAULT PUBBLICO
http://www.glistatigenerali.com/nlclick/6145/1979
[4] Autonomia del Veneto entro il 2018
[5] Dialogo nel blog Goofynomics su Monti-Fornero e le pensioni. Censura finale ad opera di Bagnai
[6] Maurizio Sgroi - 04/07/2016
Tesoretto da 30 miliardi per l’Italia grazie al QE
Citazione: " Insomma: pensioni e sanità si confermano essere il buco nero del bilancio dello stato e soprattutto inarrestabili nella loro crescita di costi".
Non so per la sanità, ma per le pensioni l'allarme, per il medio-lungo periodo, è del tutto ingiustificato. Il sistema pensionistico italiano, dopo le 8 riforme dal 1992, è tra i più severi e sostenibili nel lungo periodo. […]
Il presidente dell’INPS, Antonio Mastrapasqua
Analisi quali-quantitativa/24 - Spesa pensionistica
Carlo Clericetti - 7 LUG 2016
Dini: "Renzi un monarca che dà oboli ai sudditi"
X Rapporto dell'associazione Economia reale
Dopo aver letto la Bozza del Rapporto ed ascoltato gli interventi, mi limito a formulare tre osservazioni-promemoria.
Traggo dalla Bozza completa del Rapporto: “Per fortuna di tutti, le linee di politica monetaria della BCE sono strutturalmente cambiate con l’avvento di Mario Draghi alla Presidenza della Banca Centrale”.
Rammento che Draghi è diventato presidente della BCE il 1° novembre del 2011, il QE è stato deciso dalla BCE nel gennaio 2015 e varato nel marzo 2015, esattamente 6 anni dopo la FED e la BoE (marzo 2009).
Moavero nel suo lungo intervento ha detto, tra l’altro, che il bilancio dell’Unione Europea è pari all’1% del Pil (contro circa il 25% del bilancio federale degli USA), di cui la metà circa è destinato all’Agricoltura, e che occorrerebbe aumentarlo, ed ha indicato tra le possibili voci di finanziamento la Tassa sulle transazioni finanziarie (TTF). Dini, che gli sedeva accanto, che aveva criticato vigorosamente gli aumenti della spesa pubblica, da ultimo del governo Renzi, evidenziati dai dati di Baldassarri, e accusato Renzi di incompetenza perché aveva privilegiato i consumi rispetto agli investimenti, in questo caso non ha fatto una piega, a differenza di ciò che egli fece con Prodi nel 2007, quando minacciò la crisi di governo se si fossero colpite le rendite finanziarie:
Prodi: "Dini resta, le rendite non si toccano"
La sinistra dell'Unione: "E il programma?"
Sul “pedagogo” Dini, colgo l’occasione per segnalare quest’altro articolo ed il mio commento critico in calce:
“UNA CERTA IDEA DELL’ITALIA”: DINI E TIVELLI RACCONTANO 50 ANNI DEL BEL PAESE
Promemoria3: imposta patrimoniale
Vincenzo Visco, nel suo intervento, dopo aver segnalato che il governo Renzi, per trovare risorse fiscali, ha fatto sue soltanto due delle proposte del suo Centro Studi, il NENS, che hanno prodotto un gettito di 3-4 mld, ha suggerito di adottare un’altra loro proposta antievasione ben più incisiva che potrebbe recare un introito di ben 40 mld. Praticamente equivarrebbe ad una corposa imposta patrimoniale, anche se non limitata ai ricchi.
PS: Poiché HP ha cancellato i vecchi commenti, riporto il mio commento nel blog di Carlo De Benedetti:
Lei fa benissimo, utilizzando il Suo potente megafono, a salvaguardare i propri interessi ed a rilevare l'inefficienza (invero 'strabica'!) dell'Euroburocrazia, ma perché non segue un pizzico l'esempio del Suo predecessore Adriano Olivetti e pensa anche a quelli del popolo più indifeso, senza santi in Paradiso, riesumando - in parallelo a questa serie di post - la Sua proposta di imposta patrimoniale sui ricchi, per finanziare l'indispensabile crescita ed evitare che il Paese vada a fondo e l'altrettanto indispensabile rafforzamento degli ammortizzatori sociali, in particolare:
- il reddito minimo garantito, opportunamente disciplinato; e
- un piano corposo pluriennale di alloggi pubblici di qualità (negli ultimi 20-25 anni, in Italia ne sono stati costruiti 1/30 della Germania, 1/40 della Francia, 1/70 della Gran Bretagna)?
Sarebbe più credibile (forse anche per i bastian contrari in servizio permanente effettivo) e si guadagnerebbe così il sostegno, come si augura, dell'opinione pubblica, almeno di quella parte di essa più sensibile alla giustizia sociale e molto meno - mi creda - ai rischi di essere spiata.
PS: Trova il testo completo della Sua proposta d'imposta patrimoniale qui:
Dossier Imposta Patrimoniale
Alcune integrazioni al mio commento del 11/7 00.47
Nonostante due risoluzioni positive del Parlamento Europeo, la prima approvata nel lontano 8 marzo 2011, dei 28 Paesi dell’UE, 11, poi (dopo la defezione dell’Estonia) 10 Paesi del Consiglio europeo (Capi di Stato e di Governo) che avevano deciso di andare avanti sull’adozione della TTF rafforzata (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Grecia, Belgio, Slovacchia e Slovenia) stanno menando il can per l’aia dal 2013. La decisione definitiva che doveva essere presa dall’Ecofin del 17 giugno scorso, a causa di una richiesta assurda da parte del Belgio e della Slovacchia di escludere dalla tassazione i derivati, è stata rinviata al prossimo mese di settembre. In Italia (e in altri 9 Paesi), esiste già una TTF annacquata, decisa dal governo Monti (Legge n. 228 del 24 dicembre 2012).
Ecco un dossier aggiornato al 2016:
Appunto sulla Tassa sulle transazioni finanziarie
Promemoria3: De Benedetti e Scalfari
De Benedetti e Scalfari pare si siano passati parola sia sull’imposta patrimoniale (nel senso di non parlarne più dopo il 2010) che sulla nuova legge elettorale (pericolosa per la democrazia, in abbinamento alla revisione costituzionale). Circa l’imposta patrimoniale, ho detto di De Benedetti, aggiungo che nell’intervista al Corriere egli se la prende con la proposta del reddito di cittadinanza di M5S, con la motivazione che non sarebbero indicate le coperture: il che ovviamente è falso, poiché come tutte le proposte di legge essa le deve obbligatoriamente indicare (peraltro, segnalo che nella nuova proposta di M5S - DISEGNO DI LEGGE N. 1148: Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/308596.pdf -, manca proprio, tra le coperture, l’imposta patrimoniale, che invece c’era nella prima proposta (cfr. Reddito di cittadinanza, commento alla proposta di legge di M5S http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2797058.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/07/reddito-di-cittadinanza-commento-alla.html).
Per la spiegazione su Scalfari, che nei suoi vigorosi editoriali del 2010 implorava provocatoriamente il ministro Tremonti di far pagare anche a lui e scriveva: “Debbono cioè impostare un piano globale di redistribuzione del reddito da chi più ha a chi meno ha. Lo spostamento può avvenire in vari modi, manovrando soprattutto il fisco (ma non soltanto); sgravando il peso fiscale sui redditi di lavoro dipendente e sulle famiglie e finanziando la redistribuzione con maggior carico tributario sulle rendite, sui patrimoni e sui consumi opulenti” (sulla scandalosa iniquità delle manovre correttive berlusconiane ed in particolare del DL 78/2010, rileggasi, da ultimo, il mio dialogo con @fb0172 in calce a La malafede del banchiere anti-euro http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/04/27/la-malafede-del-banchiere-anti-euro/), rinvio a questo mio post:
L’involuzione di Eugenio Scalfari
Integrato da quest’altro post in cui ho esplicitato meglio il mio pensiero:
Ritengo che, da una parte, sia ingenuo confidare nella coscienza e nell’altruismo dei ricchi e dei privilegiati (ci sono, oltre all’esperienza di ciascuno di noi abbia gli occhi e il cervello sufficientemente svegli, le evidenze scientifiche) e, dall’altra, che – giudicando almeno dai numeri – sia ragionevole pensare che l’incendio del 2011 è (apparentemente) domato.
Non a caso ho citato il 2011, quando l’Italia dovette subire l’attacco concentrico della speculazione finanziaria internazionale, innescata dalla vendita da parte della Deutsche Bank dei 7 mld di titoli italiani che aveva in portafoglio [cfr. 1 oppure 2]. A mio avviso, la cartina di tornasole della pericolosità dell’incendio fu che i ricchi (nel caso di specie, l’insieme delle Associazioni delle imprese), in data 30/9/2011, presentarono una proposta di imposta patrimoniale.[*] Non fu la sola, nell’ambito dell’establishment italiano.
Passato il pericolo, grazie all’intervento di Draghi che finalmente si era svegliato, tutti, proprio tutti i ricchi, persino Scalfari, che allora implorava che si riattivassero anche in Italia i vasi comunicanti tassando i ricchi, prima che la casa crollasse loro addosso, se ne sono dimenticati. Se lo rifaranno, solo allora vorrà dire che la casa brucia di nuovo davvero.
Il segnale che la casa Italia brucia davvero
Replica alla risposta della BCE alla petizione sulla BCE
Un anno fa mi sono espresso così sul conto di Jeroen Dijsselbloem: il “presidente olandese dell’Eurogruppo, il nevrotico e inesperto sedicente socialista Dijsselbloem, mero strumento del duo massonico reazionario Merkel-Schaeuble”.[1]
Egli non perde occasione per contrastare tutte le decisioni dell’Italia, allineandosi fedelmente alla posizione della Germania.
Lo ha fatto quando l’Italia, che è uno dei pochissimi Paesi dei 19 dell’Eurozona, a rispettare il limite del 3% del rapporto deficit/Pil e viene da quasi 7 anni di recessione per colpa dell’austerità imposta dalla Commissione europea per conto della Germania, ha chiesto la “flessibilità” (cioè di aumentare il deficit) di qualche decimale di punto, che è un semplice palliativo poiché servirebbe ben altro: uno shock di una cinquantina di miliardi.[2]
Lo ha fatto quando si è trattato di aiutare le banche italiane, che non ebbero bisogno di essere salvate all’inizio della crisi economica, mentre ora sono oberate di sofferenze per centinaia di miliardi causate dal prolungamento della crisi economica, perché lo vieta la recente normativa del bail-in, che ha innovato le regole che permisero alle banche soprattutto tedesche, ma anche francesi, belghe, olandesi, spagnole, ecc. di essere salvate con centinaia di miliardi di soldi pubblici.[3]
Lo ha fatto quando ha condiviso la posizione della Germania che si è opposta all'assicurazione europea dei depositi, che rientra nell’accordo già sottoscritto e implementato dell’unione bancaria, ma che ora viene condizionata alla riduzione dei rischi bancari, che secondo i Tedeschi sarebbero legati ai troppi titoli di Stato in portafoglio alle banche, in particolare italiane, titoli che avrebbero un rischio maggiore dei derivati, di cui sono strapiene le banche tedesche.[4]
Lo ha fatto oggi quando ha frenato sulla trattativa in corso tra l’Italia e la Commissione europea per avere il via libera a un intervento con garanzia pubblica per puntellare il capitale di Mps.[5]
In teoria, parrebbe un comportamento davvero strano se si considerasse la sola appartenenza di Dijsselbloem al PSE, lo stesso gruppo del quale fa parte il PD renziano; lo appare un po’ meno se si valutano tre altri elementi: il primo, il complesso di superiorità di un olandese rispetto agli Italiani e in generale i mediterranei;[6] il secondo, il conflitto d’interessi nell’ambito del sistema Euro tra il blocco centro-europeo (Paesi creditori) e i Pigs (Paesi debitori); e terzo, l’appartenenza di Jeroen Dijsselbloem alla Massoneria neoaristocratica (se non reazionaria).[7]
[1] UE, classifica (personale) dei mediocri
[2] UE “FRENA” L’ITALIA SULLA FLESSIBILITA’
07 gennaio 2016 21.35 Dijsselbloem richiama l’Italia sulla flessibilità dei conti pubblici prevista dal patto di Stabilità per l’euro. “La flessibilità è un margine, si può usare una volta sola. Non si può esagegare”, dice il presidente dell’Eurogruppo e dell’Ecofin. L’Italia “ha chiesto varie flessibilità, per le riforme istituzionali, per gli investimenti, per i migranti, dipende dalla commissione UE”, che deciderà sulla questione. “L’unica cosa che posso dire è: non spingiamo”.
[3] Crisi banche, il Pd guida l'assalto al bail in
Giuseppe Falci, L'Huffington Post
Pubblicato:14/02/2016 20:51 CETAggiornato: 14/02/2016 20:51 CET
Giunta la notizia a Bruxelles il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem si è infuriato: “Un ritorno al passato sarebbe la cosa peggiore”.
Banche: Dijsselbloem spalleggia Schaeuble, frena su sistema unico depositi -2-
19:34 (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bruxelles, 14 gen - Il ministro delle finanze olandesi (che si trova a guidare nei prossimi sei mesi anche l'Ecofin) ha fatto un lungo ragionamento quando gli e' stato chiesto di commentare l'opinione del ministro Pier Carlo Padoan sulla posizione tedesca ("E' molto lontana da cio' che e' utile per l'Europa"). Dijsselbloem ha citato il caso del 'manuale unico' bancario: "Ci sono tante pagine bianche che dobbiamo riempire, dobbiamo essere d'accordo su che cosa intendiamo per qualita' di capitale delle banche, su che cosa sono i rischi bancari iscritti nei bilanci, sulle discrezionalita' della legislazione nazionale che vanno superate: la presidenza olandese della Ue e' molto impegnata, questo e' il lavoro da fare, non possiamo parlare di rischi da condividere senza parlare di rischi da ridurre". Dijsselbloem non ha citato una delle questioni centrali che fa parte della discussione e delle richieste tedesche: la riduzione dell'esposizione delle banche verso il debito sovrano nazionale. Si tratta di un principio sul quale tutti magari concordano in linea generale, ma e' una questione spinosissima. Da un lato la riduzione dell'esposizione al debito sovrano nazionale va nella direzione dello sganciamento (relativo) dei rischi bancari dai rischi sovrani, appunto. Dall'altro lato, le banche di un paese (in Italia quanto in Germania, Francia e altri paesi chiave della zona euro) sono grandi acquirenti di titoli del debito pubblico. Il presidente dell'Eurogruppo ha rivendicato il fatto che la filosofia dell'unione bancaria si fonda sull'accoppiamento riduzione dei rischi-condivisione dei rischi. Di solito gli esponenti europei sono restii a riferire pubblicamente delle posizioni di dissenso degli Stati membri. Questa volta Dijsselbloem ha fatto un'eccezione affermando: "Non e' un segreto che la Germania e' molto critica sul fatto di parlare adesso di un sistema unico europeo di garanzia dei depositi, mentre altri paesi non vogliono parlare di riduzione del rischio" (nel contesto della discussione sull'assicurazione europea dei depositi). Antonio Pollio Salimbeni Aps-y- (RADIOCOR) 14-01-16 19:34:37 (0551) 5
[5] Banche scommettono sul governo, ma Dijsselbloem frena. Si sgonfia il rimbalzo delle Borse
[6] La supposta superiorità e l’arroganza degli Europei del Centro-Nord
[7] Traggo dal libro “Massoni” di Gioele Magaldi: “Jeroen Dijsselbloem (classe 1966, politico, affiliato alla «Compass Star-Rose/Rosa Stella Ventorum» e alla «Three Eyes»”, due superlogge reazionarie, in particolare la potentissima rockefeller-kissingeriana seconda.
UE, dirigenti illuminati o massoni reazionari?